
Articolo scritto dallo psicologo e psicoterapeuta Dr. Fernando Cesarano
La terapia cognitivo-comportamentale è indicata soprattutto per il trattamento di fobie specifiche (es. paura di animali., paura di volare ecc..) e nella agorafobia e attualmente è basata principalmente sul principio della “desensibilizzazione sistematica” di Watson e Wolpe.
Da qualche anno può avvalersi anche dell’utilizzo della “realtà virtuale” con cui è possibile simulare situazioni ansiogene in una stanza appositamente attrezzata con relativa tecnologia adeguata alle situazioni da simulare. Una precisazione importante però va fatta e cioè che secondo il mio punto di vista e personale esperienza di lavoro terapeutico, questo tipo do trattamento è valido e dà risultati migliori quando l’oggetto fobico non ha carattere simbolico.
Facendo un esempio semplice e concreto quando per esempio la fobia dei cani è legata a una esperienza pregressa negativa o traumatica magari subita nell’infanzia che, per un processo di generalizzazione viene in debitamente poi estesa a tutte le tipologie di cani e di situazioni anche se diverse da quella originaria , ma non rappresenta però il simbolo di qualcosa d’altro che si teme come ad esempio la figura paterna, un educatore severo ecc.. La desensibilizzazione sistematica opera principalmente attraverso due meccanismi:
- L’associazione (condizionamento) di una risposta antagonista all’ansia come per esempio il rilassamento muscolare o la respirazione profonda alla situazione ansiogena stessa ,messa in campo per indebolire il legame tra reazione d’ansia e stimolo ansiogeno e, ancora più importante;
- Esposizione progressiva e graduale allo stimolo fobico che sarà qui di seguito esemplificata con alcuni casi clinici. Presupposto implicito fondamentale che non tutti i terapeuti hanno l’accortezza di evidenziare è la presenza imprescindibile della motivazione a fare, riprendere, attuare dei propri obiettivi creando così una specie di conflitto di interesse: da una parte il desidero forte di fare una certa cosa o di trovarmi in una certa situazione, dall’altra la paura che mi blocca e me lo impedisce come vedremo qui di seguito nel caso della paziente che voleva seguire le lezioni universitarie ma ne era impedita per la paura di affrontare il viaggio per recarsi all’Università.
Il caso di A.R
Anna è una giovane studentessa universitaria avuta in terapia diversi anni fa. Presentava una forma di disturbo d’ansia classificabile col DSMV come agorafobia e nello specifico per Anna era diventato un problema fare un viaggio in treno o anche in automobile. Essendo una studentessa universitaria in lingue presso l’Università Cattolica di Milano dove doveva recarsi per seguire le lezioni , a causa del suo disturbo il suo percorso scolastico si era inceppato. Fortunatamente sua madre, casalinga poteva accompagnarla e pertanto si è studiato un programma ad hoc che prevedeva l’uso dell’automobile con la compagnia della madre e successivamente in un secondo tempo da sola. Perchè si era scelto come mezzo di trasporto l’automobile piuttosto che il treno? Dato che la situazione che creava più disagio e suscettibile di far scattare un attacco di panico era prendere la metropolitana una volta scesa dal treno, la scelta era caduta inevitabilmente sull’auto con la quale poteva recarsi( prima chela zona diventasse ZTL) direttamente nelle immediate vicinanze dell’Università senza fare un percorso in metropolitana e con cui inoltre poteva nei primi steps, modulare la sua “tenuta all’ansia” fermandosi in caso di difficoltà qualche minuto prima di riprendere il viaggio o poter aprire il finestrino quando la sua “claustrofobia” le impediva di proseguire il viaggio. In questo modo gradualmente ,cioè con percorsi gradualmente sempre più lunghi , il suo problema era stato risolto in breve tempo .Ci tengo a sottolineare ancora una volta che ho avuto come buon alleato nel percorso terapeutico la sua motivazione a seguire e non perdere le lezioni universitarie e sua madre che si è resa disponibile a coinvolgersi nel programma terapeutico.
Il caso di F.L
Fiorella è una giovane impiegata la cui sede di lavoro è nelle vicinanze di Milano che raggiungeva in treno e presentava problemi simili a Anna. La sua ansia diventava cospicua e ingestibile soprattutto di ritorno dal lavoro quando i treni sono verosimilmente affollati .Anche per il suo problema è stata applicata la tecnica della “Desensibilizzazione sistematica” iniziando dal viaggio di andata in un giorno prefestivo o festivo e in orari non troppo affollati. Il primo step prevedeva semplicemente per la paziente salire alla stazione di partenza e di scendere subito dopo la prima fermata collocata a soli 7 km di distanza e a 5 minuti di percorso . Lo step successivo ,attuato solo se il primo era avvenuto con successo, prevedeva di scendere alla fermata successiva e così di seguito .Lo spirito del compito era di frazionarlo in unità più piccole e gestibili e inoltre far leva sul rinforzo della esperienza positiva che incoraggiava ad allungare la distanza percorsa. Per il viaggio di ritorno che ,una volta ripreso il lavoro, inevitabilmente doveva fare i conti con un maggior affollamento, la stessa paziente aveva trovato una “tecnica” aggiuntiva per tenere sotto controllo l’ansia. La paziente infatti aveva scoperto casualmente che se era immersa in una conversazione telefonica con la sorella a cui telefonava quando l’ansia diventava crescente e non più gestibile , la sua mente mentre si concentrava sugli argomenti del dialogo, automaticamente allentava un po’ il controllo sull’ambiente e sull’ l’affollamento delle persone dandogli un po’ di respiro dall’ansia incombente.. In realtà di fatto questa è una tecnica impiegata dai sessuologi nel trattamento del deficit erettivo durante il quale si incoraggia il paziente a “perdersi in fantasie sessuali per evitare l’autocontrollo ossessivo sulla efficacia o meno della propria erezione. Così gradualmente con queste due tecniche congiunte : a) esposizione graduale alla situazione “fobica” b) Distrazione della mente dalla situazione fobica , la paziente in poco tempo(qualche mese) , si è liberata dalla morsa dell’ansia che interferiva con la sua dimensione lavorativa. Anche qui la motivazione al lavoro era adeguata e il suo disagio non nascondeva altri problemi come la difficoltà a recarsi al lavoro in un ambiente vissuto come ostile per le relazioni interpersonali o per dover svolgere mansioni sgradite.