Lo stretto legame tra emozioni e cibo
A cura della Dr.ssa Laura Tullio, Psicologo con studio a Roma
“Roberto è un bambino di 12 anni, figlio unico di una coppia altamente disfunzionale con alle spalle una storia familiare connotata da disagi psicologici e grande sofferenza. La famiglia sta seguendo una psicoterapia familiare per via dei comportamenti bizzarri che Roberto ha a scuola. Solo attraverso le sedute di terapia inizia ad emergere chiaramente il senso di solitudine e la paura di abbandono che pervade il minore. I genitori di Roberto sono separati da circa 10 anni ma, a differenza delle canoniche separazioni coniugali, i due non si sono mai lasciati davvero. Il padre del bambino ha continuato a vivere nella casa coniugale per molto tempo. La madre non lo mandò via prevalentemente perché la aiutava e sosteneva nel periodo in cui aveva importanti disturbi depressivi. Lui dal canto suo non si sentiva abbandonato da quell’unica donna dalla quale ha sentito di essere stato amato. Entrambi, a modo loro, continuavano ad occuparsi l’uno dell’altro fin quando la madre di Roberto ha intrapreso una relazione con un giovane universitario di 20 anni più piccolo di lei. Questa novità manda in crisi il legame della coppia che, senza manifestare apertamente il conflitto legato alla paura di perdersi, finge una ritrovata armonia ora che lei vive una nuova sua storia d’amore. Le sedute con la famiglia proseguono normalmente ma, ogni volta che Roberto entra nello studio, sembra più grasso della volta precedente. Dice di non riuscire a controllare la sua fame. Mangia due cornetti a colazione, due panini a scuola e poi spuntino, pranzo con due piatti di pasta, altro spuntino ipercalorico e cena con doppia dose di cibo. Sembra che Roberto moltiplichi per due ogni cosa che ingerisce. Sostiene di avere sempre fame e che il cibo non basta a saziarlo. I genitori non danno troppo peso alla situazione. Sostengono anzi che i comportamenti di Roberto a scuola sono migliorati, incuranti del fatto che il sintomo del ragazzo si è semplicemente spostato: da un disturbo di iperattività ad un disturbo alimentare.”
L’area dei disturbi alimentari, secondo la nosografia psicopatologica, è ampia e in continua evoluzione; sono molti i disturbi che non soddisfano i criteri per una diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) e che, per questo motivo, non vengono adeguatamente seguiti. Inoltre capita di frequente che persone, non necessariamente affette da disturbi alimentari, abbiano delle condotte alimentari anomale. Queste rappresentano la spia di una difficoltà relazionale o emotiva che genera sofferenza nel soggetto, senza però metterlo in pericolo di vita.
Il cibo rappresenta un mezzo in diverse situazioni: può essere utilizzato per sentirsi vicini alla propria famiglia, quando ci si allontana dal nucleo di riferimento principale; a livello più profondo, può portare una persona ad esprimere emozioni difficili da verbalizzare; può poi rappresentare un quadro patologico, il modo per rivendicare la propria autonomia e il massimo livello di controllo sulla propria vita e sul proprio corpo, come accade nei casi di Anoressia e Bulimia.
In tutti questi casi è frequente che ci sia una mancanza, solitudine, un vuoto. Il cibo è uno dei modi più utilizzati, più o meno consciamente, per veicolare un messaggio importante a chi ci sta intorno: si ha bisogno di colmare una profonda sensazione di vuoto interiore che richiede di essere colmata, saziata e soddisfatta.
E’ questo il caso di Roberto che, preso in mezzo a due genitori troppo occupati a colmare reciprocamente i loro vuoti, lasciano che, come una storia che si ripete all’infinito, anche il figlio impari ad avere un vuoto interiore. Roberto è un bambino non visto, quasi colpevolizzato per essere nato e stare li a ricordare ad entrambi che, un tempo, si erano amati. Adesso che le cose, apparentemente, sono diverse ciascuno dei due rivendica a parole la necessità di differenziarsi dall’altro dovendo, però, gestire Roberto che viene considerato dai genitori solo ed esclusivamente come un bambino problematico di cui fanno fatica ad occuparsi. Roberto non sa più come fare per rendersi visibile agli occhi dei genitori. Prima mettendo in atto condotte aggressive ed iperattive a scuola, ora sembra quasi che stia cercando di lievitare davanti ai loro occhi. In fondo più ingrassa, più diventa visibile. Saziare la sua fame d’amore sarà un’impresa difficile se entrambi i suoi genitori, così come doppie sono le sue porzioni di cibo, non faranno, prima di tutto, i conti con le loro mancanze. Solo attraverso la presa di consapevolezza della propria storia, aiuterà questi genitori ad aiutare davvero Roberto. Solo ricevendo l’amore e l’attenzione che chiede Roberto potrà a fare a meno di quel cibo che prova a riempirgli l’anima.
È necessario imparare a riconoscere e distinguere la fame biologica dalla fame emotiva, per due motivazioni: In primo luogo per non rischiare di sviluppare psicopatologie come i disturbi alimentari in cui vi è anche l’incapacità di riconoscere la sensazione di fame. La seconda motivazione sottolinea come ogni emozione che proviamo deve essere espressa, buttata fuori e non ingurgitata, percepita, riconosciuta, vissuta e accettata. Il cibo, in questi casi, serve a placare momentaneamente l’emozione, fa da modulatore emotivo. Si rischia dunque di entrare in un circolo vizioso dove l’inibizione emotiva portano il soggetto a sfogarsi mangiando, ogni volta che prova un’emozione complessa, eccessivamente intensa o troppo difficile da esprimere verbalmente. La psicoterapia può essere un valido supporto. Può rappresentare metaforicamente, la nave che ci accompagna nella navigazione profonda della nostra anima.
Sono i nostri bisogni vitali che chiedono di essere riconosciuti e la nostra mente non fa altro che compensare, attraverso la messa in atto delle condotte alimentari, ciò l’anima ci chiede. Il cibo regala una sensazione di pienezza che inevitabilmente scompare riportandoci al punto di partenza. E questo ciclo si ripeterà, fino a quando non decideremo di ascoltare, senza negare, le nostre emozioni profonde.
La fame nervosa non è una condanna, può essere sconfitta attraverso un percorso di psicoterapia che può portare verso la consapevolezza, maturazione e conoscenza profonda di se stessi.